Mons. CELSO VENTURI

 

OMELIA di Mons. ERNESTO VECCHI
Vescovo Ausiliare Emerito di Bologna

nella SANTA MESSA in suffragio dell’Arciprete Mons. CELSO VENTURI
nel 50° anniversario della morte, Mercoledì 27 aprile 2016, ore 20:30,

nella chiesa provvisoria di Pieve di Cento
 

(Letture: At 15, 1-16;  Sal 121;  Gv 15, 1-8)

 

Sono grato al Vostro parroco, il Can. Paolo Rossi, per avermi invitato a presiedere questa Concelebrazione Eucaristica in suffragio di Mons. Celso venturi, in occasione del 50° anniversario della sua morte, avvenuta il 23 aprile 1966. Siamo qui convocati nel mercoledì della 5ª settimana di Pasqua: un tempo particolarmente favorevole, per fare memoria di un Sacerdote, che ha speso esemplarmente la sua vita nel condurre il gregge di Dio verso la luce della Pasqua.

I testi biblici che abbiamo ascoltato, offrono il contesto più adatto per ricordare la figura e l’opera di un prete d’eccezione come Mons. Celso venturi. Le due letture - nonostante l’apparente diversità di orizzonte - sono strettamente collegate.

Il Vangelo di Giovanni ce ne offre la ragione di fondo, riportando le parole chiare e inequivocabili di Gesù: «Io sono la vite, voi i tralicci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete fare nulla» (Gv 15, 5). Solo Gesù è il vero fondamento della nostra vita e non c’è bisogno di aggiungere altro, come pretendevano i cristiani venuti dall’ebraismo (Cf. At 15,1).

Purtroppo, anche tra i cristiani d’oggi - magari senza rendersene bene conto - ci sono coloro che non cercano la via unicamente in Cristo, ma pensano che ciascuno possa metterci del suo, in modo autonomo. Certamente i credenti devono fare la loro parte, ma nella consapevolezza che tutto è subordinato a Cristo: «Quando avete fatto  tutto quello che vi è stato ordinato, dite: “Siamo servi inutili”» (Lc 17, 10). In sostanza, anche quando ci impegniamo al massimo per realizzare qualcosa, dobbiamo rimanere nella persuasione che l’orizzonte del vero cristiano ha il suo principio e il suo modello nell’amore di Dio, un amore «riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo» (Cf. Rm 5, 5), mediante il Battesimo e la Cresima. Guai se il cristiano rimane con le mani in mano! Ma solo quando agisce in unione con Dio, può dire con San Paolo: «non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me» (Gal 2, 20).

Queste persuasioni stavano alla base dell’azione pastorale di Mons. Celso Venturi, una di quelle figure sacerdotali che hanno dato consistenza all’eredità del Cardinale Domenico Svampa, diventato Arcivescovo di Bologna nel 1894 - un anno prima dell’ingresso in Seminario di Celso Venturi - e vi è rimasto fino alla morte avvenuta il 10 agosto del 1907, lo stesso anno in cui don Celso, il 20 dicembre, fu ordinato sacerdote, dal Vicario Capitolare Mons. Vincenzo Bacchi.

Mons. Venturi, dunque, faceva parte di quella numerosa corona di sacerdoti cresciuti alla luce dell’episcopato del Cardinale Svampa e che a loro volta continuarono a formare quella schiera di presbiteri, che per anni hanno lavorato nel «campo di Dio» (1 Cor 3, 9), lasciando un segno indelebile nella Chiesa di Bologna: lo disse il Cardinale Giacomo Lercaro, nella commemorazione tenuta in occasione del 50° della morte del Cardinal Svampa (cf. Bollettino della Diocesi di Bologna, 1957-58, pp. 102-108). Questi preti erano ben formati e sapevano stare sulla «breccia», con polso fermo, ma grande capacità di confronto e di lettura dei segni dei tempi.

Attraverso la «carità pastorale» di questo grande pastore marchigiano e quella dei suoi successori - i Cardinali Giacomo Della Chiesa, Giorgio Gusmini e Giovanni Battista Nasalli Rocca - questi sacerdoti hanno ereditato l’impulso dato alla Chiesa da Leone XIII, specialmente con la famosa enciclica «Rerum novarum», che spinse la pastorale e confrontarsi con le «cose nuove» emergenti fra la fine dell’ottocento e la prima metà del novecento.

Mons. Celso Venturi era nato a Monteveglio il 22 maggio 1882 e ha trascorso la sua infanzia a Merlano di Savigno. A 13 anni entra in Seminario e viene ordinato sacerdote il 20 dicembre 1907. Fu cappellano a Casadio, a S. Maria in Duno e nella parrocchia urbana di Santa Caterina di Saragozza.

Poi, nel 1911, l’Arcivescovo Della Chiesa lo nominò, prima, economo spirituale e, poi, parroco a Ponzano di Savigno. Vi è rimasto 13 anni, moltiplicando i suoi talenti per l’edificazione spirituale della parrocchia e stimolando quelli del gregge a lui affidato per la messa in campo di opere sociali, come segno efficace dell’animazione cristiana della società.

A Ponzano condivise con i parrocchiani i disagi della prima guerra mondiale (1915-18) e soprattutto seppe affrontare le burrasche del primo dopoguerra, quando i socialisti contrastavano la sua azione religiosa e sociale, anche sul piano personale. Don Venturi resistette saldo nella fede, mirando a sensibilizzare il cuore di chi lo contrastava, mettendo in campo il dialogo, la ragionevolezza e facendo parlare i fatti, senza trascurare lo sforzo di capire le ragioni di chi protestava.

Comunque, al suo fianco e in sua difesa, ebbe sempre quei parrocchiani che aveva educato e formato ad affrontare con coraggio i rischi della fede.

Il cardinale Nasalli Rocca - da pochi mesi alla guida della Diocesi, ma capace di grande discernimento - pose la sua attenzione su don Celso Venturi, ormai collaudato come sacerdote pastoralmente maturo: gli propose di prendere in considerazione - con molta libertà di scelta - il suo trasferimento nell’antica e importante parrocchia di S. Maria Maggiore di Pieve di Cento.

In quel momento, a Pieve, la situazione religiosa era difficile, per le lacerazioni interne alla comunità, fomentate dal fascismo, da poco al potere, ma con pretese di egemonia anche in campo ecclesiale. Il nuovo regime pretendeva una religiosità di facciata a vantaggio dei propri fini.

Prima di ogni decisione, don Celso andò a vedere di persona e si fermò a lungo, in preghiera, davanti al miracoloso Crocifisso e gli sembrò che dicesse: «Che cosa aspetti a venire?». Superate le perplessità, accettò e prese possesso il 15 agosto 1923. Entrò in forma solenne con la corale partecipazione della gente e dell’Amministrazione comunale. Ma le camicie nere colsero l’occasione per organizzare espliciti dissensi dimostrativi, tendenti ad esprimere una posizione di forza e di intimidazione di fronte al nuovo Arciprete. Don Celso Venturi - accompagnato a Pieve da una folta schiera di parrocchiani di Ponzano, che gli facevano corona - non si lasciò intimidire: fece il suo discorso chiaro e forte, mettendosi al servizio di tutta la comunità pievese, senza fare distinzioni tra le persone e senza compromessi.

La vita e le opere di Mons. Celso Venturi, durante i 42 anni di ministero a Pieve, meriterebbero un approfondimento molto più ampio e dettagliato, che il contesto di un’omelia non consente. Rimandiamo, perciò, ad altre fonti. Ora ci limitiamo a ribadire che il suo servizio pastorale a Pieve ha avuto come riferimento costante l’icona che lui chiamava «il nostro Crocifisso», invitando tutti a rendersi conto di vivere a contatto con il santuario della misericordia di Dio. Dopo alcuni mesi di monitoraggio della situazione, cominciò a realizzare il suo programma: ricomporre le frantumazioni sociali e recuperare la tradizione cattolico-sociale pievese, adeguandola al “nuovo” che stava avanzando, ma sempre in ossequio al papa e in obbedienza all’Arcivescovo pro tempore. Da parte sua, si mise a completo servizio della popolazione che gli era stata affidata, spendendo tutto se stesso per il bene della gente, la maggior gloria di Dio e l’incremento della fede cristiana.

Mons. Celso Venturi è ricordato negli annali della storia ecclesiale bolognese come un parroco dalla forte connotazione emblematica: la sua fede incrollabile, il suo coraggio, la sua consapevolezza ecclesiale e storica hanno fatto di lui un esempio di «carità pastorale», che rimane in benedizione nella memoria della prassi ecclesiale bolognese.

Mons. Gilberto Baroni, già Vescovo Ausiliare di Bologna e poi Vescovo di Reggio Emilia - Guastalla, nella celebrazione del 25° della morte di Mons. Venturi. Lo definì un valido strumento di grazia e di salvezza, creatore di «oasi dello spirito»: esercizi e riti spirituali per la formazione di laici e laiche pronti a collaborare nell’apostolato ecclesiale. Secondo Mons. Baroni, le principali caratteristiche di questo prete innamorato di Dio erano l’umiltà profonda, una fede viva, un grande coraggio e una illuminata saggezza. Per questo fu anche un eccezionale suscitatore di vocazioni di speciale consacrazione; dalla parrocchia di Pieve, ai suoi tempi, sono stati donati alla Chiesa 7 sacerdoti, 8 religiosi e 11 suore.

Per questo stasera, mentre suffraghiamo la sua anima, chiediamo a Mons. Venturi una intercessione speciale, perché il Signore riapra a Pieve e in tutta l’Arcidiocesi la sorgente vocazionale, indispensabile per la vita del popolo di Dio. Inoltre, chiediamo la sua mediazione perché il Signore aiuti Papa Francesco a guidare la Chiesa in questo momento storico così complesso e conceda a noi la grazia di accogliere il suo magistero con la stessa persuasione che animò la Chiesa ai tempi della Rerum novarum di Leone XIII. Infine, Mons. Celso venturi non mancherà di intercedere perché il nostro nuovo Arcivescovo, Mons. Matteo Zuppi, possa reinvestire - con il suo fresco e dinamico carisma - l’eredità pastorale dei suoi 119 predecessori, per il rilancio spirituale, comunionale, vocazionale e pastorale della Santa Chiesa pellegrina di Bologna.