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SANTISSIMO MIRACOLOSO CROCIFISSO


Il Crocifisso di Pieve è da ricondurre all’ambito delle confraternite dei Battuti che, per rendere più efficace la predicazione, procuravano grandi crocifissi per processioni e sacre rappresentazioni.

 

L’altare

L’altare attuale, con le sue colonne e ornamenti di scagliola, fu eseguito da Girolamo Marzocchi nel 1868-69, in collaborazione con Federico Monti, che scolpì i due angeli, il Padre Eterno e gli angioletti di marmo. Luigi Samoggia decorò la cappella a tempera e Alessandro Guardassoni, sempre a tempera, eseguì le tre pitture della volta. La chiusura della nicchia con l’elegante manufatto in ferro battuto e cristallo è del 1915, eseguito dalla ditta Maccaferri di Bologna su disegno del professor Gandolfi.

Promotrice della ricostruzione e della decorazione dell’altare e della cappella fu la compagnia del Santissimo Crocifisso, sorta nel 1850-51, in preparazione alla ventennale del 1880. Le spese furono coperte con una questua fatta dai confratelli nei quartieri interni di Pieve e nelle campagne, casa per casa.

 

Il Crocifisso e la famiglia Guidicini

La tradizione orale collega il Crocifisso alla famiglia Guidicini e ha diverse varianti: secondo una di queste, la testa sarebbe stata ritrovata nella soffitta della loro casa lasciata da un misterioso pellegrino qui accolto per una notte; un’altra versione vuole che la testa sia stata risparmiata da un incendio che aveva distrutto la casa dei Guidicini. In ogni caso, la scultura sarebbe poi stata completata con il corpo, portata in chiesa e da allora venerata come miracolosa. La famiglia Guidicini non compare nella lista dei partecipanti redatta tra 1460 e 1484. Ciò significa che essi si stabilirono a Pieve non prima della fine del 1400. Ma l’immagine del Cristo è anteriore: essa è modellata su uno stile di fine Duecento. Il legame dei Guidicini col Crocifisso potrebbe indicare che essi avevano qualche responsabilità nella custodia del Cristo o forse indica solo l’appartenenza della scultura alla compagnia di Santa Maria cui essi erano affiliati.

 

La scultura

I capelli divisi alla sommità da scriminatura, sono scanellati a linee parallele. Scendono ai lati del volto in due lunghi tortiglioni scanellati, uno dei quali modellato nel 1969 dall’intagliatore centese Dino Bonzagni (1915-1996), per sostituire l’originale danneggiato. I baffi sono corti e aderenti. La barba è ovale, scanellata, divisa in due fino al mento da uno stretto taglio. La scanellatura alla barba e ai capelli è un segno dell’arte di fine Duecento.

Il corpo non è confitto in croce con quattro chiodi, ma con tre: il piede destro è sovrapposto al sinistro ed entrambi sono confitti con un sol chiodo. Il tronco è verticale, le ginocchia abbastanza flesse, le braccia dritte e quasi perpendicolari al tronco. L’opera rappresenta un momento di transizione dalla rigidità del romanico-lombardo alla viva plasticità anatomica del Rinascimento.

Il capo, più rilevante artisticamente, è caratterizzato da un maggiore naturalismo, nel tentativo di fissare l’ultimo respiro: la bocca aperta, le narici dilatate, gli occhi aperti a metà.

Il corpo è modellato in modo rigido, non c’è riproduzione realistica dei muscoli.

 

Il culto e l’identità

Il culto a Gesù crocifisso ha attraversato i secoli, seppure con manifestazioni diverse. Nel Medioevo il Crocifisso era il Dio sofferente, che invitava alla penitenza e alla devozione, alla cura del prossimo.

In età barocca è sentito come Crocifisso miracoloso, taumaturgo contro i pericoli; la sua immagine viene esposta alla contemplazione in precise occasioni, per questo il Crocifisso comincia ad attrarre folle di pellegrini anche dai dintorni.

Il Crocifisso è da sempre anche il principale emblema della “pievesità” e i Pievesi l’hanno sempre guardato con gelosia, ravvisandovi il simbolo della propria identità. La leggenda narra di un tentativo dei Centesi di trafugarlo a Cento: il carro che lo portava sarebbe rimasto bloccato sul ponte o, secondo un’altra versione, il Crocifisso con tre balzi sarebbe tornato in chiesa. Questa identità fu riaffermata grazie al Crocifisso in un periodo di grande avvilimento politico, economico, sociale, culturale nell’Ottocento.

L’arciprete Antonio Zannini nel 1840, cogliendo il senso storico e tradizionale del culto al Crocifisso e legandolo all’altra importante istituzione medievale, la Partecipanza Agraria, istituì la cosiddetta Ventennale del Crocifisso, processione che si svolge ogni venti anni in concomitanza con l’estrazione dei capi, ossia dei terreni. Con questo atto veniva stabilita una sorta di primato religioso e morale di Pieve sui paesi limitrofi.

 

Le solenni feste e processioni del Crocifisso nel XVIII secolo

Padre Edmondo Cavicchi sostiene che “non esiste cenno di processioni del Santissimo Crocifisso per il periodo anteriore alla sua traslazione in una sua propria cappella nel 1643. La prima processione menzionata è quella del 4 ottobre 1650, ma ve ne furono forse altre tra il 1643 e il 1650. Dopo la prima descrizione particolareggiata del Riesi (processione del 17 marzo 1652), non sono comparse altre descrizioni fino alle processioni del 1729 (Pellegrini, Storia di Pieve di Cento) e del 1738-1752 (Raccolta Melloni-Crescimbeni).”

Dalla documentazione relativa al ‘700 si ricava che le processioni non si tenevano con una cadenza regolare, ma ad intervalli di tempo che oscillavano fra un minimo di quattro anni e un massimo di dieci.

Il mese prescelto era generalmente settembre, fatta eccezione per 1710 in cui la processione si svolse il 18 marzo per celebrare anche la collegiata riedificata: la solenne processione coincise con il ritorno del Crocifisso nella propria cappella, dopo gli anni di “deposito” nella chiesa di San Rocco. Quanto alla data, il verbale della seduta del Capitolo del 1 luglio 1729 induce a pensare che, almeno per alcuni anni, la processione si tenne il giorno di San Michele, il 29 settembre, poi il ripetuto maltempo indusse ad anticipare la data ad inizio mese. Generalmente la processione si svolgeva di domenica e costituiva il culmine di un triduo di celebrazioni in onore del Crocifisso che iniziava il sabato e si concludeva il lunedì.

 

La processione veniva organizzata per implorare la divina misericordia sul popolo affinché lo proteggesse nelle e dalle calamità; a volte le fonti parlano della volontà di mantenere viva una tradizione che rischiava di sparire per sempre oppure di un rendimento di grazie per la misericordia divina verso la Pieve.

 

La processione veniva decisa dall’arciprete e dai canonici della collegiata, con l’assenso degli assunti dell’altare del Santissimo Crocifisso: l’immagine del Cristo, infatti, era proprietà dei canonici e della collegiata, mentre la cappella dipendeva dai Guidicini e dal Comune.

 

Il Crocifisso veniva tolto dal suo altare il venerdì sera, cioè alla vigilia del triduo, e in genere veniva collocato all’altare maggiore dove era predisposto un apparato che rendesse l’esposizione maestosa e spettacolare. In genere, prima di essere collocato all’altare maggiore, veniva portato in sacrestia e nella stanza capitolare per mutare i veli che lo coprivano: il velo vecchio veniva tagliato in piccoli pezzi e dispensato ai fedeli e sostituito con uno nuovo, di color nero. Giovambattista Melloni, parlando del potere taumaturgico del Cristo della Pieve, dice che le grazie erano state ottenute “quando all’invocazione di questo Santissimo Crocifisso, quando per mezzo del ritratto del medesimo, o dell’olio della sempre sua ardente lampana, o del velo e pian Dio, e da capo a pié lo ricopre, e si dispensa a fedeli popoli in occasione della general festa, venendo egli rivestito di un nuovo”.

 

L’itinerario della processione più seguito nel ‘700 era il seguente: si usciva dalla collegiata e si passava davanti alle carceri (all’interno del palazzo municipale), poi si proseguiva per la strada della chiesa di Santa Croce, arrivando alla chiesa delle monache di Santa Chiara con una breve sosta e una benedizione alle clarisse; poi fino al convento dei padri Scolopi e verso il pozzo della catena, poi la chiesa di San Rocco e quindi di nuovo in collegiata. La sacra immagine veniva collocata sulla scalinata della chiesa, alla porta maggiore, sopra un palco predisposto per l’occasione, quindi veniva pronunciato un discorso, finito il quale s’intonava un inno dedicato alla croce e recitate varie preghiere, prima della benedizione impartita dall’arciprete. Poi sulle note del Te Deum il Crocifisso tornava in chiesa.

 

La processione si svolgeva secondo un ordine e una regola ben precisi: apriva il corteo la compagnia del Sacco (chiamata anche degli Agonizzanti, sotto gli auspici del Crocifisso Miracoloso) e seguivano le “compagnie della Terra” verosimilmente le quattro maggiori di Santa Maria, Santa Croce, San Rocco e Santissima Trinità e quelle del Suffragio e del Santissimo Sacramento; poi i padri osservanti del convento di San Francesco a Reno, il Capitolo, due sacerdoti vesti di piviale rosso, l’arciprete con diacono e suddiacono anch’essi con piviale rosso, il Crocifisso, il Magistrato, un sergente della milizia con venti soldati armati, e infine “l’infinito numero della gente che con grande impeto tentava affollarsi attorno alla Santa Immagine”, (processione del 1738).

La compagnia del Sacco aveva un ruolo speciale: varie fonti parlano dei confratelli come gli unici a godere della prerogativa di stare vicino al Crocifisso. Essa era priva di una propria chiesa e di un proprio oratorio ed era eretta presso la cappella del Crocifisso; aveva carattere penitenziale, come si evince dall’abito di sacco e dai piedi scalzi.

 

Tutte le feste e le processioni del Crocifisso conoscevano il lavoro di alcuni tra i più famosi addobbatori bolognesi del tempo affinché il Crocifisso venisse esposto con magnificenza. Vari i nomi degli apparatori tramandatici dai documenti: Lodovico Amici (1744), Lodovico Sabbattini (1752), Pellegrino Amici ed Antonio Pizzoli (1761), Luigi Pizzoli (1784).

 

La chiesa era ornata con damasco, merletti, carte dorate a frutti e fiori, sottili e fini veli; gli archi e le colonne erano un continuo rincorrere di rosso, giallo, turchino, bianco ed oro; i lati del palco su cui era esposto il Crocifisso erano pieni di candelieri inargentati disposti in tre ordini di file.

Tutta la comunità si mobilitava per rendere il paese più bello, più pulito e più accogliente alla gran folla dei forestieri. Veniva organizzata anche la fiera a condizione che, nelle ore dei divini uffici, non si facessero contratti e la merce fosse coperta. Al sabato e alla domenica sera si teneva lo spettacolo pirotecnico con “bombardieri” bolognesi. Tutte le giornate del triduo erano quasi incessantemente accompagnate dallo sparo e dal rimbombo di mortaletti, dallo scampanio delle campane, dal suono delle trombe e dei tamburi.

 

Grande cura era sempre dedicata alla scelta della musica, attraverso l’invito a valenti musici e suonatori bolognesi e modenesi, tra cui cantanti lirici, professionisti di oboe, corno da caccia, violino e violoncello.

 

Gli inni comuni a tutte le feste erano: Vexilla, intonato sempre durante gli spostamenti del Crocifisso; Magnificat, cantato dopo i primi vespri del sabato; Te Deum, cantato mentre il Crocifisso tornava in chiesa alla domenica.

 

Nel XVIII secolo era parte integrante della funzione l’accademia letteraria, intesa come raduno culturale occasionale con produzione e distribuzione di composizioni letterarie, in particolare sonetti e orazioni.

 

C’era poi la consuetudine della corsa del palio con cavalli berberi, cavalli nordafricani piccoli e veloci, che venivano usati per le corse in alcune città italiane. Il premio per il vincitore era il palio, un drappo prezioso fatto in damasco cremisi, rifinito con cordelle di seta verde ed impreziosito con un dipinto; la gara era regolamentata da dei “capitoli”,  regole ufficiali scritte. Nel 1738 la corsa partì da “le quattro vie”, vicino alla chiesa di San Rocco, ma non viene citato il percorso; l’arrivo fu stabilito davanti a casa Crescimbeni, cioè all’inizio di via Matteotti.

 

Litania a cura di Mons. Giuseppe Stanzani

 

DAVANTI AL CROCIFISSO
 

Le 7 Parole di Gesù in Croce

“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”
“In verità Io ti dico: oggi sarai con me nel paradiso
“Donna, ecco tuo figlio!” “Ecco tua madre!”
“Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato
“Ho sete”
“Tutto è compiuto”
“Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito”.

Noi preghiamo

La morte non ha più potere su di Te (Rom 6,9)
Ha provato la morte a vantaggio di tutti (Eb 2,9)
Dio lo ha consegnato per tutti noi (Rom 8,52)
Dalle sue piaghe siamo stati guariti (I Pietro 2,25)
Ecco l’Agnello di Dio (Gv 1,29)
Veramente quest’uomo era figlio di Dio (Mc 15,39)
 

Cristo Trionfante con corona regale perché è Dio
Cristo Sofferente con corona di spine perché è Uomo.